Sapevamo fare tutto con le mani

di Marianna Fanelli

Sapevamo fare tutto con le mani, sapevamo mungere le pecore e fare il formaggio, sapevamo lavorare le pelli e coltivare la terra. Non c’era bisogno di parlare molto per imparare l’uno dall’altro, bastava guardare con gli occhi aperti il movimento delle mani. Io mi ricordo di un tempo in cui credevo che le mani si muovessero per sapienza loro, libere, rapide e precise. Le mani sono le prime e le ultime parole.

Ogni volta che rileggo queste righe mi torna in mente mio padre e poi mio nonno. Mio nonno era un calzolaio, meglio conosciuto come su sabbatteri. Mio padre invece era solo un bambino, un bambino che avrebbe preferito giocare e andare a scuola come gli altri e invece, suo malgrado, si ritrovò a fare scarpe. Occorreva una giornata intera per fare un paio di scarpe, a volte anche due. I procedimenti erano sempre gli stessi, sia che la scarpa fosse destinata ad un adulto che ad un bambino. Per prima cosa occorreva misurare il piede del cliente; la misurazione veniva fatta con l’ausilio di una comune striscia di carta, larga circa due centimetri. Stabilita la lunghezza si passava alla misurazione del collo del piede e della larghezza. Durante le misurazioni era buona abitudine chiedere al cliente di cosa avesse bisogno, se di una scarpa da lavoro o di una da passeggio, anche se spesso non era difficile intuirne la risposta. Stabilite le misure si passava a modellare la pelle; questo procedimento veniva fatto utilizzando quella che mio padre chiama “la forma della scarpa” ovvero la riproduzione di un piede fatta di legno. Anni dopo tutte quelle scarpette di legno sarebbero state utilizzate purtroppo solo per accendere il camino. La punta del piede veniva chiamata “mascarinu” mentre la parte del tallone “tomaia”. Queste due parti venivano cucite tra di loro a mano o con la macchina da cucire, unendo così anche la suola. Infine ritocchi e lucidatura e la scarpa era pronta per essere calzata! Mio padre aveva solo 12 anni, il suo compito era quello di togliere chiodi dalle vecchie suole, preparare lo spago, tenere in ordine il laboratorio e imparare in silenzio guardando il movimento delle mani. Prima non c’erano i negozi di scarpe; tutti dovevano rivolgersi a su sabatteri per scarpe da lavoro robuste e in cuoio, scarpe da passeggio per signorini basse e leggere, o scarpe per tutti i giorni (quelle era sempre meglio averle robuste). Mio padre in pochi anni apprese l’arte di fare le scarpe ma alla prima occasione accettò un altro lavoro e abbandono definitivamente il laboratorio di mio nonno, per lui forse troppo padre padrone. Ora è un insegnante in pensione, passa le giornate davanti alla tv, ogni tanto legge il giornale e l’interesse per le cose sta diminuendo in lui man mano che il tempo passa. Ma quando si parla di scarpe il suo sguardo ritorna vispo e allora incomincia a raccontare i suoi giorni di apprendistato e, diciamola tutta, a casa mia mai nessuno ha avuto le scarpe bucate!

Le mani sono le prime e le ultime parole.