di
Maria Antonietta Azara
“Inue no b'at remediu no balet matana”così lo aveva liquidato don Don Carmine quando Fabio Trunzone andò a chiedergli consiglio su come poter chiedere in sposa Tea Corrasi, la ragazza più bella del paese.“Una questione irrimediabile”l’aveva definita e forse lo era.
Tea era ricca e bella. Aveva tutte le qualità che nessun uomo vivo avrebbe potuto disdegnare. La sua pelle era liscia e olivastra, gli occhi del colore dell’oro, i capelli color castagna e i denti più bianchi della calce, se fosse stato possibile. Teneva i capelli raccolti in una grossa treccia che arrotolava sulla nuca a mogno, fermato con delle forcine dorate ornate con pezzi di corallo rosso. Vestiva il costume classico tradizionale. Tutti in paese erano a conoscenza che la ragazza era stata promessa in sposa a Menelao Deiana un ricco latifondista di Lanusei che si diceva fosse molto più grande di lei. Orfana di madre era sempre accompagnata dalla governante, donna Amalia, persona colta nonché cugina di Don Giuseppe Corrasi, il padre di Tea. Un giorno in chiesa, mentre la zia era intenta a confessarsi, Fabio entrò e vide una figura longilinea e giovanile nella navata destra, vicino alla statua del Sacro Cuore di Gesù. Si precipitò verso questa nella ferma convinzione che fosse sua sorella Angelica, ma quando la ragazza si girò per vedere chi fosse Fabio ebbe un fremito: era la fanciulla più bella che avesse mai visto. Tea gli sorrise con innocenza e un po’ di imbarazzo che colorò le sue gote di un tacito piacere che non era possibile dire a parole e forse neanche con gli occhi.
“Vi avevo erroneamente confuso con un’altra persona. Vogliate perdonare il mio disturbo signora”disse lui con un inchino di commiato.
“Siete perdonato, ma ditemi: chi cercate?”continuò lei con dolcezza.
Ci fu un attimo di silenzio. I due rimasero a guardarsi: lei pregando lui di non andare via così presto, lui ringraziando tacitamente lei di aver prolungato quel momento di felicità che provava al solo guardarla.
“Scusate, sono stata impertinente e indiscreta a porvi una domanda così personale. Se state cercando vostra moglie non è qui: ci siamo solo io e la mia governante Amalia”riprese lei maliziosamente.
“No, non sono sposato signora. Semb…”.
Dovette fermarsi, perché in quel momento si sentì la voce di Don Carmine pronunciare:“Ego te absolvo a peccatis tuis in nomine patris el Filii et Spiritus Sancti”. In quel momento la porta del confessionale in legno si aprì.“Andate ve ne prego”disse Tea.
Uscì e corse, corse, corse fino a quando il cuore non smise di scoppiargli nel petto e il respiro non tornò ad essere regolare. Chi era quella creatura meravigliosa che lo aveva stregato al primo sguardo? Passarono alcuni mesi ma Fabio non era riuscito a sapere niente: il problema consisteva nel fatto che si vergognava a parlarne con gli altri, a descriverla, soprattutto perché i suoi occhi e le sue parole non avrebbero lasciato dubbi: lui ne era innamorato.
Arrivò la sera della vigilia di Natale e tutto il paese si riunì in Chiesa per la messa di mezzanotte. Uomini e donne con i loro abiti migliori erano in preghiera per dare il benvenuto a Gesù bambino che di lì a pochi minuti sarebbe venuto al mondo.“Deus ti salvet Maria”veniva intonato dal coro e dai presenti, quando tra le prime file, vicino alla moglie del sindaco Fabio intravide una figura conosciuta. Cantava con in mano il rosario di madreperla e sopra il capo portava il velo muliebre bianco ricco di pizzo. Non riusciva a scorgere altro, se non la testa e le mani, ma questo gli bastò per sentirsi felice e capire che era la figlia di Don Corrasi.
Ora sapeva il suo cognome, ma quello che non sapeva era come domandarla in moglie dal momento che lui era un pescatore e lei la figlia di un signore per giunta promessa in sposa ad un uomo molto ricco. Fu così che senza dire niente in casa il giovane si recò dal parroco, Don Carmine, uomo di origini modeste ma anima benigna, per chiedere consiglio a lui in confessione.
“Padre, mi sono innamorato”
“Bene figliolo. Di chi?”
“Di donna buona e onesta. Tea è il suo nome”continuò lui.
“La bontà e l’onestà di una donna sono caratteristiche essenziali per una buona moglie e madre. Lei ricambia? Hai parlato con il padre della giovine? Le cose vanno fatte con giudizio figliolo. Ricorda l’onore della ragazza”.
“Padre il suo onore è intatto ma è il padre che mi spaventa. Ho ragione di credere che i miei sentimenti siano corrisposti”disse il ragazzo.
“Chiedi a tua mamma di accompagnarti e vedrai che tra vetusti sapranno ragionare e giungere ad una decisione giusta per voi giovani. Ma ditemi: la ragazza di che paese è?”
“Di qui. E’ Donna Tea Corrasi la ragazza che mi fa battere il cuore”
“Battere il cuore. Battere il cuore. Ragazzo ti sarai sbagliato. Alla vostra età quello che sembra amore è soltanto infatuazione. Tornate a casa e lasciate passare un po’ di tempo e vedrete che una buona moglie la troverete”lo congedò il prete.
“Ma voi non capite: è lei che voglio come mia sposa. Nessun’altra.”
“Andate vi dico. Ad ognuno il suo. I ricchi con i ricchi e i poveri con i poveri: è una legge antica e vige da sempre. Non cadete nella rete della superbia: è un peccato, sapete?”
Il ragazzo uscì dalla chiesa con il cuore spezzato e con il viso stravolto dal pianto. Sino ad allora, nei vent’anni della sua vita non era mai stato innamorato: rideva al pensiero dell’amore. Eppure quella forza misteriosa, quel potere che ti cambia, ti gira e ti rigira come una clessidra era capitato anche a lui. Camminava per le vie del paese a testa bassa quando guardò il cielo e si rese conto che di lì a poco sarebbe iniziato a piovere. Le nuvole si stagliavano sul cielo grigie e scure e minacciavano temporale mentre i lampi squarciavano il cielo. Fu in quel momento che vide una collina: quella che gli anziani chiamavano “Perda ‘e Liana”. C’era un antico detto che si trasmetteva di padre in figlio: “A sa Perda ‘e Liana, su hi heres di dana”.“Provare non costa niente”pensò, e si diresse verso l’altura in direzione del tacco calcareo che si diceva fosse la porta dell’inferno. Iniziò a piovere ma Fabio rimase lì ad attendere la mezzanotte. Quando il campanile della chiesa scoccò per la dodicesima volta la campana, il giovane si trovò attorniato da una processione di quelli che all’apparenza sembravano uomini. Il loro movimento provocava un rumore strano: di ferraglia, monete che si toccavano tra loro. Passarono accanto a Fabio e fu lì che si rese conto che quelli che credeva essere contadini in realtà erano qualcosa di mostruoso. Esseri deformati, spaventosi, terrificanti dalle risate inquietanti. Dalla testa si scorgevano delle corna e dei denti canini molto pronunciati. Il più grosso gli si avvicinò e continuando una danza ancestrale che gli altri seguivano domandò:“Cosa ci fai qui? Ci stai disturbando, sai?”
“Voglio diventare ricco.”
“Lo sarai mio coraggioso amico ma il pegno che dovrai pagare sarà molto alto: io voglio la tua anima” disse Mefistofele.
“L’avrai” rispose il ragazzo.
“Bene, torna a casa tua e domani ti risveglierai con una ricchezza che nessuno del paese avrà mai visto. Ora vai e non raccontare niente a nessuno” disse il demonio.
Il ragazzo obbedì e la mattina dopo si vestì elegante ed uscì. Arrivato al palazzo dei Corrasi chiese di essere ricevuto da don Giuseppe e chiese in moglie Tea dicendo di poterle garantire ogni tipo di ricchezza e benessere, ma l’uomo lo guardò male e la risposta non fu altrettanto diversa.“Tu, chiedi in sposa mia figlia? Non sai che è già promessa ad un signore nobile? Noi siamo discendenti di un’antica famiglia e tu giovanotto no. Non lascerò mia figlia nelle mani di uno come te, la mia risposta è no”.
Da quel momento in poi di Fabio non si seppe più niente. Si dice che quella mattina stessa si buttò dalla collina ma il suo corpo non fu mai ritrovato. Un ragazzo che salì a “Sa Perda ‘e Liana” giurò di averlo visto insieme al diavolo in una notte di luna piena ma nessuno gli credette. Verità o no questo lo lascio decidere a voi.