«Ero un cavallo agile e forte lo sai?», disse fieramente ‘Entu al nuovo arrivato. «Quando ero giovane, ti avrei potuto uccidere con un calcio solo!» Il cane, a quest’ultima frase del cavallo, fece un balzo e mostrò i denti in segno di minaccia. «Hei, ma che intenzioni hai? » Gli disse. Spero che tu non riesca più a sollevarle quelle zampacce. Se permetti, mi sto appena affacciando alla vita, e vorrei morire in modo eroico, non schiacciato sotto il peso dei tuoi zoccoli».
«Stupido cane!», mormorò il cavallo. «Non ho cattive intenzioni e ti consiglio di tenertela stretta la tua giovane pelliccia. Che significa, poi, morire in maniera eroica?»
«Beh, rispose il cane, dandosi un tono. Sarei un eroe, se cadessi in un dirupo per salvare una pecora!» L’anziano sauro non riuscì a trattenere una fragorosa risata. «Sei proprio un pivellino!», gli disse ancora divertito.
E il nuovo arrivato, ignorando l’offesa e parlandogli quasi sopra, rispose: «Se proprio dobbiamo diventare amici, visto che condivideremo gli stessi spazi, sappi che non sono un ‘pivellino’, ma una ‘pivellina’. Mi chiamo Marigosa, o meglio questo è il nome che mi ha dato il tuo padrone. E tu?»
«Io mi chiamo ‘Entu.»
«Piacere!», disse la cagnetta mettendosi a pancia all’aria. Era stremata per il viaggio perché avevano percorso parecchi chilometri, e affranta per quello che era successo. Aveva perso il suo padrone! Avrebbe voluto fare al cavallo mille domande per sapere dove si trovasse, e dividere con lui il suo pesante fardello, ma non era ancora pronta per parlare del suo immenso dolore con ‘Entu, che per lei era e sarebbe potuto rimanere un perfetto estraneo. Quel cavallo, dalle piccole orecchie, e dagli occhi grandi ed intensi, però, le ispirava fiducia. Non le interessava, invece, sapere come fosse il suo nuovo padrone. Lei pensava che mai e poi mai, nella sua vita, ce ne sarebbe stato un altro. Avrebbe voluto dirlo al cavallo: «Noi cani scegliamo un solo padrone ed è per sempre. Me lo hanno ucciso. Non appena avrò capito come muovermi, lo vendicherò. Altro che morire per salvare una pecora!» Anche ‘Entu, dal canto suo, studiava la nuova arrivata. Era felice, perché, finalmente, avrebbe potuto condividere i suoi pensieri con qualcuno, che, come lui, aveva con gli uomini un rapporto speciale. Marigosa non era come gli altri animali. Era vissuta a stretto contatto col suo padrone, sapeva dell’uomo più di quanto avrebbe saputo dirgli un gregge intero. Passarono i giorni e le settimane, e intanto Marigosedda ed ‘Entu erano diventati inseparabili. Il bel sauro usciva sempre più di rado, ma non pareva soffrirne particolarmente. Il suo padrone gli faceva spesso visita, e ci pensava Marigosedda, con i suoi racconti, a farlo scalpitare. Ogni giorno era un’avventura! Nei confronti del pastore, invece, Marigosa, provava dei sentimenti contrastanti. Avvertiva che c’era qualcosa in lui che lo faceva tremendamente soffrire, e quando i loro sguardi si incrociavano, lui distoglieva subito il suo, per dirigerlo altrove. Comunque, le sembrava contento di lei. E lei, che la conduzione delle greggi ce l’aveva nel DNA, aveva solo fatto appello al suo istinto. Ogni tanto il ricordo del suo padrone pervadeva il suo animo di un’intensa tristezza. Le mancava, eccome se le mancava.
Fu per la prima nevicata che ‘Entu si confidò con la sua amica. Iniziò dicendole, che lui godeva di una reverenza e di un rispetto da parte del suo padrone, e di tutti gli altri uomini, di cui nessun altro animale avrebbe potuto godere. Si diceva, infatti, che l’uomo che avesse osato uccidere un cavallo, sarebbe a sua volta morto ‘de morti mala’. Ed in effetti queste parole non sorpresero Marigosedda che si era accorta del rispetto che il pastore nutriva per il suo sauro. Però pensava che fosse normale. Anche il suo padrone l’aveva sempre rispettata. Quello che, però, Marigosedda non sapeva, era dei talenti che ‘Entu possedeva. Tra i tanti prodigi che era in grado di fare, c’era quello di poter vedere i morti. «Vedo i morti!», le disse, come se fosse la cosa più normale di questo mondo. Marigosedda rimase di sale. La notizia la sorprese, ma nonostante lo sbigottimento iniziale, non si fece sfuggire l’occasione: «Mi devi aiutare!», gli disse. «Io devo assolutamente rivedere il mio padrone. E’ stato ucciso, e io devo sapere da chi, per vendicarlo!» Era una necessità a cui Marigosa non poteva sfuggire, c’era in ballo la stessa sopravvivenza della famiglia dalla quale era stata strappata via. ‘Entu rimase sorpreso dalla determinazione della sua amica. I discorsi, poi, sulla vendetta, li conosceva bene. Una fucilata era sempre pronta per chi aveva il vizio del “furari figu ‘e monte.” E di morti ammazzati, vagare per i boschi, ne aveva visto tanti. Guardò Marigosa negli occhi e le disse che lui non poteva vedere tutti i morti, ma solo quelli morti ‘a balla!’ E poi il suo padrone, come tutti gli uomini, del resto, temeva quei boschi! «Si giustificano dicendo che siamo noi cavalli a non volerci passare, ma in realtà sono loro, che trasmettendoci le loro paure, ci costringono a tornare indietro. Cavaliere e cavallo diventano un tutt’uno! Come è morto il tuo padrone?», glielo chiese con un filo di voce, mentre il dolore della sua Marigosedda diventava sempre più palpabile. Fu allora che la cagnetta gli espose il suo piano, rivelandogli che il suo padrone era stato ucciso in un agguato, proprio da una fucilata. «Devo vendicare il mio padrone, prima che lo faccia uno della mia famiglia.», sbottò Marigosedda. ‘Entu non capiva. «Come fai a non capire!», disse stizzita lei. Se io riuscirò nella mia impresa, nessun altro morirà, e la mia famiglia vivrà come viveva prima: con onore». Visto il nobile proposito, e allietato dal fatto che non avrebbe più visto quel bosco infestato da tutti quei morti, decise di aiutare la sua amica. «Venerdì sarò cavalcato. Anche se il mio padrone prenderà il solito percorso, io non gli ubbidirò e mi recherò proprio nel punto dove ci sono quelle povere anime. Cerca di essere là, prima di noi! Non dovresti incontrare difficoltà: da su Passu Malu devi deviare verso Pizzu Margini e Pubusa e da lì arrivare al Tonnéri. Quando vedrai il bosco farsi sempre più fitto, non farti ingannare dal frusciare delle fronde di quei lecci e di quei frassini ammaliatori. Affina il tuo udito e individua il fiume che scorre lì vicino. Spero che tu sia in grado di ignorare le provocazioni dei gatti selvatici! Vivono in quei boschi da tempo immemore, se dovessi perderti, il loro aiuto sarebbe fondamentale!» Marigosedda accettò la cosa. Aveva forse scelta? Arrivò il venerdì e lei era pura elettricità. Avrebbe presto saputo il nome di chi l’aveva privata della sua gioia più grande. Quando arrivò sul posto designato, senza dover, fortunatamente, ricorrere, all’aiuto di nessun gatto, ‘Entu ed il suo padrone erano già lì! Le bastò uno sguardo per capire che quello era un luogo a lei familiare e che il suo amico aveva dovuto lottare per portare lì il pastore. Quest’ultimo era, infatti, terrorizzato e quando ‘Entu aveva iniziato a disobbedirgli, intuendo dove lo stesse portando, lui si era ribellato colpendolo con una furia cieca. Intanto nella mente di Marigosedda i ricordi iniziarono a fluire e non tardò a capire che l’assassino del suo padrone ce lo aveva sempre avuto davanti agli occhi. Ecco perché era finita in quell’ovile. Oramai il pastore aveva completamente perso il senno. Urlava pietà. Chiedeva che gli venisse risparmiata la vita. Poteva vedere lo spirito dell’uomo che aveva ucciso, dell’uomo a cui aveva tolto l’azzurro del cielo e la lucentezza delle stelle. Accadde tutto in una frazione di secondo. Decise di fuggire a piedi, e scendendo da cavallo cadde rovinosamente, battendo la testa. Anche ‘Entu aveva capito. E non poteva crederci. Giustizia era stata fatta, e quando vide il suo amato padrone, a terra, esangue, si sentì pervadere da un opprimente senso di solitudine. La stessa, che affliggeva la sua amica.